lunedì 19 dicembre 2011

il giorno dopo Natale

Le auto corrono. Se ne fregano. Le auto sono egoiste. Sulla neve troppo stanca per sorridere i fanali riflettono la loro luce fredda, vuota. Anche per questo io d'inverno cammino lontano dai lampioni, che sognano di vedere almeno una volta nella vita la luna. Lontano dai marciapiedi, cupi, con ferite mai rimarginate. Amo sentire sotto i piedi la neve che abbraccia la terra dura dei campi, usare l'olfatto per camminare, il silenzio per guardare. Non è vero che il tempo, in queste situazioni, si ferma. Il tempo si riempie, vive, straborda. Un mondo privo di amanti, forse perché le promesse sono più facili. Forse perché le parole si perdono, non esistono. Il freddo di solito unisce, porta a desiderare un contatto. Invece ora vorrei innamorarmi solo di me stesso, cercandomi di continuo, ridendo dei miei errori, emozionandomi del mio passato. Se tutto questo fosse vero, sarebbe inutile darti una risposta.

martedì 6 settembre 2011

torneranno le parole

Non dormo più. Ogni notte il respiro un po' più affannoso o un colpo di tosse mi sveglia.
Sono sempre in allarme. Non posso continuare in questo modo. Sono le quattro. Cosa ci faccio io qui, In bagno, davanti allo specchio a fissarmi il naso..
Forse ha smesso.
Invece no, il sangue torna a scendere lentamente forse nel tentativo di non farsi riconoscere. Lo lascio scivolare fino al labbro superiore e poi lo tampono. Mia madre mi ha insegnato a tenere piegato il viso in avanti. Conto le gocce rosse sul bianco lavandino nuovo. A Quest'ora tutto ha un sapore artistico, tutto viene vissuto senza perdere nemmeno un dettaglio.
E pensare che avevo la vittoria in pugno.

Indosso una maglia e esco in terrazza. Alle quattro e mezza la città sembra una leonessa in attesa della preda per nutrire i suoi cuccioli. Ferma, forse persino impaurita, ma di certo spietata.
Da qui vedo casa tua. Le luci sono accese. Sono sempre accese da quando ci abita un intera famiglia di tunisini. Adoro guardarla di notte perché è una mescolanza di suoni, luci, profumi e lingue straniere. Un giorno penso andrò a fagli visita.
Da te sarà circa ora di pranzo.. sarai con il tuo tailleur grigio che non fa respirare le tue idee. Starai ridendo a battute che neanche ascolti. Di sicuro stai canticchiando una canzone di Marvin Gaye perché riesco a sentirla. Giovedì finalmente tornerai e cucineremo insieme. In mutande.

Sono le cinque. Lo so perché Manuel ha appena appena caricato il furgone del pane lasciandomene un po' nel cestino della vespa.
Il naso torna a pulsare.. gocciola in modo più copioso ora.
E pensare che avevo la vittoria in pugno.

Queste sono le ultime parole che Ramon ha scritto nel suo diario. L'unica cosa che la polizia è riuscita a salvare.
Questo è l'inizio della giornata che ha cambiato per sempre la mia vita e quella di Lodery City.
Il suo Paese. La sua vita.
Il nostro Paese. La nostra vita.

martedì 30 agosto 2011

il vento giovane

“E' suo il cane?”
“ma scusi, sta parlando con me?”
“sì. Le chiedevo se è suo quel cane”
“ma non vedo nessun cane”
“cretino e maleducato!”

Invece da dietro un cespuglio uscì un cucciolo di labrador che mi corse incontro appena mi vide.
Era affamato e sporco. Io appena tornato al paese avevo trovato l'amore più puro e incondizionato possibile ad accogliermi.
Il nome fu deciso dal fato. Lo chiamai Holden. “holdy” per gli amici. Come quel libro che avevo appena lasciato in dono a qualche sconosciuto su quella panchina. Per un Holden lasciato, uno nuovo mi stava per riabbracciare. In questo parco. In questo paese che si lasciava comandare dal silenzio. Come 30 anni fa. Io, il mio nuovo amico e il profumo della pece ad attendere il bus per la città. Penso che a casa mia oramai le piante non si ricorderanno più il mio nome, il divano sarà in overdose di antidepressivi, di sicuro i vicini mi avranno bussato più volte solo per non perdere l'abitudine. In Camerun nessuno bussava. Mi svegliavo con un abbraccio.
Eccola la mia fermata. Il negozio dove vendevano il mio pinot nero preferito, il “fat bastard” ha chiuso. Hanno aperto un agenzia immobiliare. Nessuno compra più vino. Tutti vendono la casa. Il panificio italiano è stato rimpiazzato da un negozio di cinesi (che mi salutano più volte). Dai cinesi trovi tutto. Tutto quello che non ti serve. E poi alla gente non interessa più il pane. Costa e fa ingrassare. Mi faccio largo tra i cartelli “affittasi” e tra le scritte “governo muori” e sono a casa. Un buio baudelariano mi accoglie. Holdy appena entrato, distrugge lettere provenienti dalla banca. Riconosce l'odore del nemico. Nella segreteria un numero 1 lampeggia instancabilmente. Schiaccio play e una voce tremolante dice “Louis a che ora torni a casa? Ti ho preparato la zuppa di cipolle che ti facevo da bambino” . Sì, era mia madre e no, non mi chiamo Louis. Io mi chiamo Rob. E ho sempre odiato la cipolla. Mia madre non ha più la cognizione del tempo e di quello che gli sta intorno. “Colpa di un fulmine” disse mio padre. Lo so che non è così, la verità è un altra. Ma ogni cosa ha un suo tempo preciso e a me piace aspettare.

domenica 28 agosto 2011

come d'inverno (la puntata 0)

Il brindisi. Quel tintinnio di bicchieri a sollecitare baci svogliati. Forse tutto iniziò in quel momento. O meglio tutto finì grazie a quelle posate usate come manganelli, sulla cute di bicchieri usati. Sfiniti. Ecco. Ero sfinito. Ogni mattina, in ogni stagione mi svegliavo con quel suono. Ditemi cosa stava a significare?
Tant'è che anche oggi, 21 dicembre, quel ricordo lo porto con me a far colazione. Ancora in questa cucina. Ancora in questa casa. D'estate tutto sa di fritto. D'inverno pure. Abitare sopra un ristorante cinese ti fa odiare tutto quello che viene "stracucinato" come dice la vecchia portinaia. Il buono è che non uso mai il riscaldamento. Qui mi hanno trasferito 5 anni fa. 5 anni al "porto delle fortune" valgono come 20 anni vissuti in una normale città. In tutti questi anni mai un omicidio. Mai un episodio degno di cronaca nera. E così da giornalista con esperienza ventennale di prima linea ora sono diventato "joy cream". Con il mio camioncino comprato da un ex rigattiere giro per porto delle fortune vendendo gelati senza memoria, raccogliendo in cambio storie e sperando in qualche assassinio perché no. Sarò crudele ma Bernie mi paga a articolo e sono mesi che non riesco a scriverne uno abbastanza decente per essere "retribuito".
Oggi è il giorno del mercato, scendo a comprare qualche pesce appena pescato al lago ghiacciato. I bambini si creano il loro banchetto costruito con delle scatole di legno. Dove una volta dimoravano delle banane ora ci sono pesci scontatissimi che ballano sul ghiaccio. Con Silvia non mangiavo mai pesce. Voleva sempre cucinare lei. E la sua cucina era sempre e solo cucina vegana. Ecco, dovrei fare una precisazione. Silvia non era vegetariana. Mangiava di tutto. Riteneva solo che tenere in casa della carne la faceva sentire sporca. Sentiva l'odore. Non potevo farlo neanche di nascosto. Più volte mi è capitato di mangiare il kebab appena ordinato sul marciapiede fuori casa. Quanti discorsi ho fatto con quel pezzo di cemento mentre attendevo il suo ritorno a casa.
Comprato il pesce e con del vino francese spedito da mio fratello devo andare da Albert. Ex testimone di nozze. Testimone e biografo ufficioso della mio matrimonio. Vuole vedermi, tra l'altro ha anche molte cose che Silvia non ha mai avuto il coraggio di riportarmi. Prendo in prestito la bici della portinaia e parto. Billie Holiday mi terrà compagnia.