martedì 30 agosto 2011

il vento giovane

“E' suo il cane?”
“ma scusi, sta parlando con me?”
“sì. Le chiedevo se è suo quel cane”
“ma non vedo nessun cane”
“cretino e maleducato!”

Invece da dietro un cespuglio uscì un cucciolo di labrador che mi corse incontro appena mi vide.
Era affamato e sporco. Io appena tornato al paese avevo trovato l'amore più puro e incondizionato possibile ad accogliermi.
Il nome fu deciso dal fato. Lo chiamai Holden. “holdy” per gli amici. Come quel libro che avevo appena lasciato in dono a qualche sconosciuto su quella panchina. Per un Holden lasciato, uno nuovo mi stava per riabbracciare. In questo parco. In questo paese che si lasciava comandare dal silenzio. Come 30 anni fa. Io, il mio nuovo amico e il profumo della pece ad attendere il bus per la città. Penso che a casa mia oramai le piante non si ricorderanno più il mio nome, il divano sarà in overdose di antidepressivi, di sicuro i vicini mi avranno bussato più volte solo per non perdere l'abitudine. In Camerun nessuno bussava. Mi svegliavo con un abbraccio.
Eccola la mia fermata. Il negozio dove vendevano il mio pinot nero preferito, il “fat bastard” ha chiuso. Hanno aperto un agenzia immobiliare. Nessuno compra più vino. Tutti vendono la casa. Il panificio italiano è stato rimpiazzato da un negozio di cinesi (che mi salutano più volte). Dai cinesi trovi tutto. Tutto quello che non ti serve. E poi alla gente non interessa più il pane. Costa e fa ingrassare. Mi faccio largo tra i cartelli “affittasi” e tra le scritte “governo muori” e sono a casa. Un buio baudelariano mi accoglie. Holdy appena entrato, distrugge lettere provenienti dalla banca. Riconosce l'odore del nemico. Nella segreteria un numero 1 lampeggia instancabilmente. Schiaccio play e una voce tremolante dice “Louis a che ora torni a casa? Ti ho preparato la zuppa di cipolle che ti facevo da bambino” . Sì, era mia madre e no, non mi chiamo Louis. Io mi chiamo Rob. E ho sempre odiato la cipolla. Mia madre non ha più la cognizione del tempo e di quello che gli sta intorno. “Colpa di un fulmine” disse mio padre. Lo so che non è così, la verità è un altra. Ma ogni cosa ha un suo tempo preciso e a me piace aspettare.

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